La scatola nera dell’auto registra le conversazioni?
No, le scatole nere installate sulle auto registrano moltissimi dati ma non le conversazioni. Tuttavia, a volte, i dispositivi digitali possono dare questa impressione.
Complice la massiccia diffusione delle tecnologie digitali, la privacy è diventata una preoccupazione per un numero sempre crescente di persone. Garantirla è perciò una priorità per tutte quelle aziende che offrono servizi attraverso la vendita e l'installazione di dispositivi digitali che registrano dati personali, come le scatole nere per automobili.
Che cos’è la scatola nera per auto:
Le scatole nere, dette anche black box, sono dei dispositivi digitali che vengono installati sulle automobili e includono al loro interno una serie di sensori. Grazie a essi è possibile raccogliere dati che vengono utilizzati per offrire all'automobilista vari tipi di servizi.
Grazie alla scatola nera, avrai la possibilità di:
Generare report imparziali che ricostruiscono posizione e velocità dell'auto e possono essere utilizzati come prova legale in un procedimento civile
Ricevere riscontri sul proprio stile di guida, per migliorarlo attraverso i suggerimenti di un assistente virtuale
Tenere traccia degli itinerari percorsi con l’auto
Ritrovare facilmente l'auto in caso di furto o quando ci si dimentica dove si ha parcheggiato
Se vuoi approfondire l’argomento, è possibile leggere questo articolo che spiega in dettaglio cos'è e a cosa serve una scatola nera.
Come funziona e cosa registra la scatola nera in auto?
Quali dati registrano esattamente le scatole nere?
È una domanda che si pongono spesso gli automobilisti attenti alla privacy, quando devono scegliere se installare uno di questi dispositivi sul loro veicolo. Tra i dati che vengono registrati dalle scatole nere ci sono:
- La localizzazione del veicolo, ovvero la sua posizione nello spazio
- Le velocità media e massima lungo un certo percorso
- I tempi di percorrenza
- Le distanze coperte
- Le fasi di accelerazione e frenata
In questa lista, dunque, non figurano le conversazioni del guidatore e dei suoi passeggeri. Ma allora perché molte persone sono convinte che le scatole nere registrino anche queste informazioni?
È vero che la scatola nera in auto registra le conversazioni?
Quella secondo cui le scatole nere, e i dispositivi digitali in generale, registrino le nostre conversazioni è una convinzione abbastanza diffusa, nata per effetto di alcune curiose coincidenze che si possono verificare quando si usano questi strumenti.
Se si è alla guida di un'auto su cui è installata una scatola nera probabilmente sarà capitato di dare un passaggio a un amico e chiacchierare di un argomento qualsiasi. Poi, qualche ora più tardi, aprendo un social network si è trovata in bella vista la pubblicità di un prodotto che ha a che fare con il tema della conversazione.
Di fronte a una coincidenza del genere è difficile non avere l'impressione che la scatola nera abbia ascoltato la conversazione. In teoria, non è impossibile: la scatola nera è un dispositivo che raccoglie dati attraverso una serie di sensori, pertanto se tra questi ci fosse un microfono potrebbe raccogliere anche le conversazioni pronunciate all'interno dell'auto. In pratica, il microfono non fa parte del set di sensori di una scatola nera e, anche se ne facesse parte, per poter funzionare dovrebbe ricevere un'autorizzazione da parte dell'utente, come succede quando vengono installate alcune app sullo smartphone.
Alcuni dispositivi satellitari jeniot sono dotati di microfono, come LIVE, NEXT e TOP ma non registrano conversazioni in auto perché il microfono viene attivato solo in caso di chiamate di emergenza (b-call e e-call), garantendo la privacy degli utenti e rispettando normative sulla registrazione delle comunicazioni.
L'impressione che i dispositivi digitali ci ascoltino - alcuni, come gli assistenti vocali, in effetti lo fanno - non è limitata alle scatole nere dell'auto. Nel 2016 la stessa teoria si era diffusa a proposito dell'app di Facebook installata sui dispositivi mobile, obbligando Mark Zuckerberg a smentirla pubblicamente. L'affermazione di Zuckerberg è stata corroborata anche da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Northeastern University di Boston, che hanno analizzato più di 17.000 applicazioni per telefoni Android. Ne è emerso che nessuna di queste app aveva utilizzato il microfono dello smartphone all'insaputa del suo proprietario.
Ma allora come nasce l'impressione di essere ascoltati? La risposta sta nei meccanismi di raccolta dei dati utilizzati dalle aziende che offrono servizi digitali. Questi meccanismi sono così estesi e precisi da essere in grado di proporci inserzioni pubblicitarie mirate, analizzando una quantità di dati e informazioni su di noi attraverso i nostri comportamenti e le nostre abitudini di utilizzo dei dispositivi e dei servizi digitali.